
È la bomba mediatica di queste ore: uno studio dell'Inps vorrebbe legare i requisiti per la pensione (età e contributi) al lavoro che si volge e al luogo di residenza. In pratica, legare le regole pensionistiche alla cosiddetta aspettativa di vita.
Obiettivo di questo studio è arrivare a realizzare una griglia di condizioni di uscita diversificate in relazione alla natura del lavoro che si svolge nel segno del principio "lavoro che fai, pensione che hai".
Il presidente dell'Inps Tridico (voluto a suo tempo dai grillini), nella giornata di ieri 20 settembre ha rilanciato questo studio come ipotesi da discutere sul tavolo della previdenza.
Lo studio si fonda sull'analisi dei dati dell'Inps sul pagamento delle pensioni e sulla durata delle stesse pensioni. Si "scopre" che un dirigente vive più a lungo di un operaio o che un pensionato di determinate aree geografiche ha una longevità più elevata di quella di un pensionato di altre regioni. Da qui la correlazione tra lavori svolti, luoghi di residenza e aspettativa di vita o speranza di vita.
Non bisognerà però dimenticare che nell'aspettativa di vita, come spiegano i demografi, entrano in gioco decine di altre variabili, dal grado di istruzione alla genetica, che sono difficilmente ponderabili per creare un'aspettativa di vita categoria per categoria.
Come spiegano fonti del governo, si tratta di uno studio e non di un'ipotesi concreta alla quale mettere mano nell'immediato, perché richiederebbe anni e anni di messa a punto dell'operazione che non si può certo realizzare nei due mesi della manovra.