Un recente verdetto del Tribunale di Bologna ha riacceso la discussione sulla legittimità delle sanzioni per eccesso di velocità rilevate da autovelox non omologati. Con la sentenza n. 1816/2025, i giudici felsinei hanno stabilito che la semplice approvazione di tali dispositivi è sufficiente per convalidare le multe, una decisione che si discosta dall’interpretazione più restrittiva espressa in passato dalla Corte di Cassazione.
Questa pronuncia potrebbe avere un impatto rilevante sui futuri contenziosi, sottolineando come la questione dell’omologazione degli autovelox resti un terreno giuridico ancora controverso.
IL CASO E LA DECISIONE DEL TRIBUNALE
La sentenza nasce dal ricorso di un automobilista multato per aver superato il limite di 50 km/h, viaggiando a 67 km/h. Il conducente aveva impugnato il verbale sostenendo che l’autovelox utilizzato non fosse omologato, ma soltanto approvato dal Ministero.
Dopo il primo rigetto da parte del Giudice di Pace, l’automobilista ha proposto appello, basando la propria difesa esclusivamente sulla mancanza di omologazione.
Il Tribunale di Bologna, tuttavia, ha confermato la legittimità della sanzione, affermando che l’approvazione del dispositivo da parte delle autorità competenti rappresenta una condizione sufficiente ai fini dell’accertamento.
I giudici hanno richiamato gli articoli 142 e 201 del Codice della strada, interpretandoli in modo sistematico: la legge, hanno spiegato, consente l’utilizzo di apparecchiature “omologate ovvero approvate” per la misurazione automatica della velocità.
ONERE DELLA PROVA E PRESUNZIONE GIURIDICA
Uno degli aspetti più significativi della decisione riguarda il tema dell’onere probatorio. Il Tribunale ha chiarito che, anche volendo distinguere tra omologazione e approvazione, spetta all’automobilista dimostrare il malfunzionamento o l’inaffidabilità dello strumento utilizzato.
Nel caso esaminato, l’appellante non aveva contestato il corretto funzionamento dell’autovelox né la velocità rilevata, limitandosi a sollevare una questione formale.
Il giudice ha così ribadito che la rilevazione dell’apparecchio costituisce una presunzione iuris tantum, ovvero valida fino a prova contraria. Solo dimostrando concretamente un errore di funzionamento o una violazione delle procedure di taratura si può annullare la multa.
Poiché le verifiche previste erano state regolarmente effettuate, la sanzione è stata confermata come valida.
IMPLICAZIONI GIURIDICHE E PRATICHE
La sentenza del Tribunale di Bologna si inserisce in un quadro giurisprudenziale complesso, dove convivono orientamenti contrastanti. Da un lato, molti tribunali equiparano approvazione e omologazione, ritenendole procedure equivalenti ai fini dell’accertamento delle violazioni; dall’altro, la Corte di Cassazione ha più volte sottolineato la necessità che gli strumenti siano espressamente omologati per garantire la validità delle sanzioni.
Il verdetto bolognese, dunque, rappresenta un segnale importante per gli organi di polizia stradale, ma anche per gli automobilisti che intendono contestare una multa: in assenza di prove concrete sull’inaffidabilità del dispositivo, l’approvazione ministeriale è sufficiente a legittimare il verbale.
In prospettiva, la pronuncia potrebbe indurre altri tribunali a seguire la stessa linea interpretativa, rafforzando la posizione delle amministrazioni locali e degli enti gestori dei sistemi di controllo della velocità.
Resta però aperto il dibattito sui principi di garanzia e tutela del cittadino, che impongono trasparenza e verificabilità degli strumenti di accertamento automatico.
La decisione del Tribunale di Bologna, dunque, non chiude la questione, ma segna un nuovo capitolo in una disputa destinata a proseguire nei tribunali italiani.
