La Legge di Bilancio 2026 introduce un taglio dell’Irpef per il cosiddetto ceto medio, riducendo l’aliquota del secondo scaglione dal 35% al 33%. Sebbene la fascia formale riguardi i redditi tra 28.000 e 50.000 euro, il beneficio si estende – in forma diversa – ai contribuenti fino a 200.000 euro, soglia oltre la quale scatta la sterilizzazione.
L’obiettivo dichiarato è sostenere i redditi medi, ma le elaborazioni di Istat e UPB mostrano che gli effetti si concentrano soprattutto sui contribuenti più benestanti, mentre per chi guadagna meno il risparmio risulta marginale.
BENEFICI CONCENTRATI SUL QUINTO PIÙ RICCO
Secondo il presidente dell’Istat Francesco Maria Chelli, il beneficio medio si attesta a 276 euro a famiglia. La platea coinvolta arriva a 11 milioni di nuclei, pari al 44% del totale, ma l’aumento del reddito disponibile è inferiore all’1% per tutti.
La distribuzione dei vantaggi è però fortemente sbilanciata: oltre l’85% delle risorse va ai quintili più ricchi della popolazione. Il guadagno medio passa dai 102 euro delle famiglie più povere ai 411 euro di quelle più abbienti. Una dinamica che conferma l’impatto limitato del provvedimento sulle fasce più fragili.
LA DIFESA DEL GOVERNO
Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, presentando la manovra, ha descritto il taglio Irpef come una forma di tutela per i redditi medi. Se si considera anche il taglio del cuneo fiscale, il beneficio coinvolgerebbe il 32% dei contribuenti, con un vantaggio medio di 218 euro, che nelle fasce più alte può arrivare fino a 440 euro.
IL GIUDIZIO DI BANKITALIA: “MISURA NON SIGNIFICATIVA”
Secondo Fabrizio Balassone, della Banca d’Italia, il taglio Irpef – così come gli altri interventi sul reddito contenuti nella manovra – produce effetti modesti sulla distribuzione della ricchezza. Anche per i nuclei più ricchi l’incremento percentuale del reddito risulta contenuto, mentre per quelli più poveri l’impatto degli strumenti assistenziali porta comunque a risultati analoghi.
SOLO 23 EURO PER GLI OPERAI
L’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB) quantifica con precisione la disparità degli effetti. Il taglio riguarda circa 13 milioni di contribuenti e comporta un minor gettito di 2,7 miliardi di euro, ma metà del beneficio complessivo finisce a chi dichiara più di 48.000 euro, cioè l’8% dei contribuenti.
Il risparmio annuo stimato è molto diverso a seconda della categoria lavorativa: i dirigenti arrivano a 408 euro, gli impiegati a 123 euro, gli autonomi a 124 euro e i pensionati a 55 euro. Gli operai, invece, ottengono un beneficio irrisorio: soltanto 23 euro all’anno, poco meno di 2 euro al mese. La sterilizzazione oltre i 200.000 euro limiterà l’effetto su 58.000 contribuenti, impedendo che lo sgravio si estenda alle fasce di reddito più alte.
UN TAGLIO CHE LASCIA APERTE MOLTE DOMANDE
Il nuovo taglio Irpef, pur presentato come un sostegno al ceto medio, mostra una distribuzione fortemente sbilanciata dei benefici. Se per i redditi elevati lo sconto fiscale è tangibile, per milioni di lavoratori – in particolare per gli operai – l’impatto è quasi impercettibile. Un risultato che pone interrogativi sulla reale capacità della misura di affrontare le difficoltà del potere d’acquisto nelle fasce più vulnerabili.
